XXI Journadas del ILADT, Barcelona-Genova 2002 PROFILI IMPOSITIVI DELLE IMPRESE DI TRASPORTO MARITTIMO E AEREO -Relazione per lItalia- Prof. Avv. Antonio Lovisolo Università di Genova
PARTE PRIMA I PROFILI SOGGETTIVI E OGGETTIVI DELLE IMPRESE DI TRASPORTO AEREO E MARITTIMO
1.1. Lesercizio dellimpresa in forma individuale o societaria. 1.2 Le single ship companies. 1.3 Le società darmamento. 1.4 La stabile organizzazione dellimpresa di navigazione. 1.5 Raccomandatario marittimo, caposcalo e agente dellimpresa. 1.6 Le compagnie di bandiera. 2.1 Lattività di trasporto marittimo e lattività di trasporto aereo. 2.2 Il trasporto stradale e ferroviario. 2.3 Il trasporto di persone e il trasporto di cose. PARTE SECONDA IMPOSTE DIRETTE 1. Presupposti per limponibilità in Italia. 1.1 Normativa nazionale. 1.2 Normativa convenzionale. 1.2.1 La nozione di sede di direzione effettiva. 1.2.2 La nozione di esercizio di navi o aeromobili. 1.2.3 Presupposti per lapplicabilità dellart.8. 2. Altre problematiche connesse all'applicazione della disciplina convenzionale. 2.1 Oneri di dichiarazione. 2.2 Non discriminazione. 2.3 Proventi ricadenti nell'ambito applicativo dell'art.12 della Convenzione. 3.1. Disciplina generale. 3.2. Ripartizione dei costi in presenza di stabile organizzazione. 4. Possibili interrelazioni con le normative antielusive. 5. Cenni sulle problematiche relative allapplicazione dellIrap. 5.1 Normativa interna. 5.2 Disciplina convenzionale. PARTE TERZA LA TASSAZIONE INDIRETTA DELLE IMPRESE DI TRASPORTO AEREO E MARITTIMO
Bibliografia essenziale. PARTE PRIMA I PROFILI SOGGETTIVI E OGGETTIVI DELLE IMPRESE DI TRASPORTO AEREO E MARITTIMO
1.1. Lesercizio dellimpresa in forma individuale o societaria. Prima di procedere alla disamina dei profili impositivi dellattività di trasporto aereo e marittimo, è opportuno svolgere brevi cenni circa le modalità, soggettive e oggettive, attraverso le quali tale attività può essere svolta, evidenziando in particolare le interrelazioni che si creano in proposito tra la disciplina civilistica e quella fiscale. Siffatta impresa può essere esercitata, anzitutto, in forma individuale, ovvero mediante una società di persone (avente autonomia patrimoniale "imperfetta") o una società di capitali (dotata di autonomia patrimoniale "perfetta"). Dal punto di vista fiscale (e trascurando, per ora, le problematiche inerenti alla territorialità dei tributi), nei primi due casi, i proventi conseguiti dallimpresa saranno, di norma (sempre che non venga fatta valere lopzione per lapplicazione dellIrpeg) assoggettati ad Irpef (ed Irap); nella terza ipotesi (di gran lunga la più frequente nella realtà pratica), all'opposto, detti proventi sconteranno lIrpeg (nonché, in ogni caso, lIrap). Comè noto, inoltre, i redditi delle società di persone (benché dichiarati dalla società stessa e, eventualmente, accertati in capo ad essa) sono imputati direttamente ai soci e tassati in capo a questi in base al c.d. "principio di trasparenza" (art.5, comma 1, del tuir); i redditi delle società di capitali sono, invece, dapprima assoggettati ad Irpeg in capo a queste, scontando successivamente lIrpef in capo ai soci quando e nella misura in cui vengano ad essi distribuiti in forma di dividendi (ai percettori di tali dividendi spetta peraltro un credito dimposta tendente a neutralizzare linsorgere di fenomeni di doppia imposizione economica su detti redditi). 1.2 Le single ship companies. Nel campo della navigazione marittima è assai frequente che uno stesso soggetto (persona fisica o giuridica), cui fa capo una pluralità di navi, costituisca una pluralità di società, ciascuna delle quali sia proprietaria e armatrice di una sola nave: è il c.d. fenomeno delle single ship companies, in cui lunitarietà della flotta viene suddivisa in una molteplicità di distinti soggetti giuridici, dotati di autonomia patrimoniale, ognuno proprietario e armatore di una sola nave e quindi responsabile unicamente delle obbligazioni derivanti dallesercizio di detta nave. È evidente che siffatte strutture (oltre a limitare le possibilità di tutela per i creditori dellimpresa: sul punto vedi amplius Carbone, Diritto Marittimo, Torino, 1997, 86 e segg.) possono dar luogo a transazioni intra-company le quali potranno rendere applicabile, tra laltro, la disciplina relativa al transfer pricing. 1.3 Le società darmamento. Una figura che trova, al contrario, ben scarsa applicazione nella prassi è quella delle cc.dd. società darmamento tra comproprietari (disciplinate dagli artt.278-286 cod. nav.): una pluralità di soggetti coesercitano la navigazione, con la stessa nave, con scopo di lucro, senza aver stipulato un contratto di società disciplinato dal codice civile. Dette società sono sprovviste di autonoma personalità giuridica e, ai fini delle imposte sui redditi, sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società in accomandita semplice, a seconda che siano costituite allunanimità o maggioranza (art.5, comma 3, lett.a) tuir). 1.4 La stabile organizzazione dellimpresa di navigazione. Unimpresa di navigazione marittima o aerea può infine svolgere la propria attività in Italia per mezzo di una stabile organizzazione (la cui rilevanza, ai fini fiscali, verrà meglio esplicitata nella seconda parte di questa relazione). Lordinamento italiano non offre alcuna definizione del concetto di "stabile organizzazione", facendosi a tal fine solitamente riferimento a quanto sancito nelle convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione dei redditi (la gran parte delle convenzioni bilaterali stipulate dallItalia contengono una definizione di "stabile organizzazione" ricalcante quella contenuta nellart.5 della Convenzione Modello Ocse). Al riguardo la giurisprudenza italiana ha avuto modo di precisare che il concetto di stabile organizzazione "non può essere definito unitariamente per tutti i tipi di impresa industriale o commerciale" e che, per una società armatoriale la stabile organizzazione non può identificarsi nella (o nelle) navi (o aeromobili), giacché essa "può ridursi ad un modesto apparato amministrativo-contabile, sol che si abbia una sede fissa ed individuabile" (Comm. Trib. Centr., sez.VII, 10 ottobre 1996, n.4992, in Dir.Prat.Trib., 1999, II, 87, con nota Aragno). 1.5 Raccomandatario marittimo, caposcalo e agente dellimpresa. Soprattutto in passato, con riguardo alle imprese di navigazione marittima, si è posto il problema di stabilire se il raccomandatario di unimpresa straniera (come tale assoggettato alle disposizione di cui allart.3 del 1977, n. 135, dirette soprattutto alla tutela dei creditori dellimpresa) possa configurarsi una stabile organizzazione "personale" dellimpresa stessa. Come chiarito dalla dottrina e in alcune ormai risalenti pronunce giurisprudenziali (cfr. Comm. 1° gr. Genova, 8 giugno 1977, n.1094 in Dir.Prat.Trib. 1977, II, 693 con nota di A. Lovisolo), non è possibile configurare una stabile organizzazione nellipotesi di soggetto che si limiti a svolgere attività di raccomandazione "tipiche", quali lassistenza al comandante nei confronti delle autorità locali o di terzi, la ricezione o consegna delle merci, la cura delle operazioni di imbarco e sbarco di passeggeri, lacquisizione di noli, ecc. (cfr. lart.2 della legge n.135 del 1977). A diversa conclusione dovrà peraltro giungersi qualora il raccomandatario, non agendo nel quadro della sua "normale attività", operi con continuità, quale soggetto "dipendente" dallimpresa straniera e legato ad essa da un rapporto di rappresentanza diretta, nella stipulazione di contratti per conto dellimpresa (e sempre che detti contratti non concernano esclusivamente attività preparatorie ed ausiliarie allesercizio dellattività propria dellimpresa). Considerazioni analoghe a quelle ora svolte con riguardo alla figura del raccomandatario marittimo possono inoltre essere formulate relativamente al c.d. "caposcalo" di impresa di navigazione aerea (trattasi di un ausiliario dellimpresa, legato a questa da un rapporto di lavoro subordinato, investito per legge di poteri di rappresentanza e incaricato di mansioni tecniche, a carattere limitatamente direttivo e discrezionale, per la cura degli interessi dellesercente nello scalo aereo). Frequente è infine lutilizzo di società non residenti (solitamente residenti in Stati a regime fiscale privilegiato, al fine di ottenere una riduzione del carico fiscale e, talvolta, loccultamento di risorse riservate, gestite off-shore), la cui appartenenza economica è spesso celata dietro ad intestazioni fiduciarie, catene societarie ovvero mediante emissioni di azioni al portatore, gestite dalleffettivo titolare in qualità di "agente generale" dellimpresa. Al riguardo, va segnalata la possibilità che i rapporti tra limpresa di navigazione straniera ed il soggetto che opera per essa nel territorio di uno Stato assumano una rilevanza tale da configurare (ad esempio, attraverso la riqualificazione dell"agente" in "institore") lesistenza della sede di direzione effettiva (art.3, par.4, della Convenzione Modello) o della sede dellamministrazione (art.87, comma 3, del tuir) dellimpresa straniera nel territorio dello Stato. Tale impresa sarebbe considerata residente nel territorio dello Stato, con conseguente superamento della problematica afferente la configurabilità della stabile organizzazione. In tal caso, infatti, limpresa diviene residente nel territorio dello Stato, con conseguente sua tassazione world wide e non limitata al solo reddito prodotto in Italia dalla stabile organizzazione (cfr. in A. Lovisolo la "Stabile organizzazione" in AA. VV. Corso di Diritto Tributario Internazionale, Padova 1999, 233 reg.) (in proposito si veda la citata sentenza della Comm.Trib.Centr. 10 ottobre 1996, confermata dalla Cass. con sentenza 21 luglio 1998, n. 7115 (inedita)); vedi, peraltro, contra, Comm. trib. I° gr. Verona, sez. IV, 28 febbraio 1996, n.64, in cui, in una situazione analoga a quella affrontata dalla Centrale, i giudici non hanno ritenuto di poter evidenziare né la sede dellamministrazione, né una stabile organizzazione dellimpresa di navigazione non residente operante in Italia per il tramite di un agente "onnipotente"). Relativamente ai profili soggettivi delle imprese di navigazione, resta da segnalare il fatto che, in alcune limitate ipotesi, assume rilevanza, ai fini del trattamento fiscale, il carattere pubblico delle imprese stesse. Talune convenzioni bilaterali, in particolare, fanno esplicito riferimento alle "compagnie di bandiera" (cfr., ad esempio, i Trattati stipulati dallItalia con Danimarca, Svezia e Norvegia, tutte contenenti apposite disposizioni relative al gruppo di navigazione "Scandinavian Airlines System"), talvolta assicurando solo a queste ultime benefici fiscali (cfr., ad esempio, gli artt.1 e 2 dellAccordo Italia-Etiopia contro la doppia imposizione delle imprese di navigazione). 2.1 Lattività di trasporto marittimo e lattività di trasporto aereo. Relativamente alla tipologia di attività espletata dallimpresa va osservato, in primo luogo, che la dottrina civilistica tende ad estendere alla navigazione aerea le disposizioni del codice della navigazione. Parimenti non frequenti sono le differenziazioni di trattamento tra lattività di trasporto marittimo e lattività di trasporto aereo che si possono rinvenire nella disciplina fiscale interna e in quella convenzionale. Tra i pochi esempi che possono evidenziarsi in proposito, si segnalano le disposizioni agevolative (in materia di imposte dirette e di Irap) contenute nel DL 30 dicembre 1997, n.457 e relative alla sola attività di trasporto marittimo (tali disposizioni formeranno oggetto di specifica analisi nel corso della seconda parte del presente studio), nonché quella decina di convenzioni stipulate dallItalia (per lo più con Paesi in via di sviluppo) ove, in analogia con quanto previsto nel Modello ONU, si prevedono trattamenti differenziati per i proventi derivanti dalla navigazione marittima e per quelli derivanti dalla navigazione aerea (cfr., ad esempio, i Trattati con India e Bangladesh). 2.2 Il trasporto stradale e ferroviario. Resta fuori, di norma, dal campo delle convenzioni bilaterali (nonché, non a caso, dalloggetto di queste giornate di studi) la materia del trasporto stradale e ferroviario, i cui proventi ricadranno pertanto, ai fini convenzionali, nellambito della disposizione relativa ai redditi dimpresa in generale (art.7 della Convenzione Modello Ocse). Va osservato, peraltro, che taluni Trattati stipulati dallItalia trattano anche dellattività di trasporto stradale (trattasi delle convenzioni stipulate dallItalia con Albania, Bulgaria, Turchia e Romania; questultima contiene anche un riferimento al trasporto ferroviario). 2.3 Il trasporto di persone e il trasporto di cose. Ai fini Iva (nonché con riguardo alla disciplina della responsabilità civile), infine, è di rilevante interesse la distinzione tra trasporto di persone e trasporto di cose, i quali, come si vedrà, sono governati da discipline affatto differenziate. Va segnalato, in proposito, che in passato ci si è posti il problema di come classificare il trasporto combinato di mezzi e passeggeri (ipotesi piuttosto frequente nel campo del trasporto marittimo): si ritiene che in siffatte ipotesi il trasporto del bene (solitamente lautovettura al seguito) debba essere considerato come subordinato al contratto di trasporto del passeggero e, quindi, ad esso accessorio per la qualificazione delloperazione ai fini Iva. PARTE SECONDA IMPOSTE DIRETTE 1. Presupposti per limponibilità in Italia. 1.1 Normativa nazionale. La normativa interna non prevede alcuna disciplina specifica relativamente ai presupposti necessari affinché i proventi realizzati da unimpresa di navigazione marittima o aerea possano essere assoggettati ad imposizione in Italia; anche nellipotesi in esame varrà, pertanto, la regola generale secondo la quale detti proventi saranno tassabili in Italia qualora:
1.2 Normativa convenzionale. Comè noto, la convenzione modello OCSE, cui si ispira la maggioranza dei trattati contro la doppia imposizione stipulati dallItalia, prevede, in deroga al "principio della stabile organizzazione" disciplinante l'imposizione dei redditi d'impresa "ordinari" (art.7), che "gli utili derivanti dall'esercizio, in traffico internazionale, di navi o aeromobili sono imponibili soltanto nello Stato in cui è situata la sede della direzione effettiva ("place of effective management" nel testo ufficiale in lingua inglese) dell'impresa" (art.8, comma 1). Conseguentemente, i proventi realizzati in Italia da un'impresa di navigazione residente e avente la propria "sede di direzione effettiva" in altro Stato, firmatario con l'Italia di un Trattato contro la doppia imposizione conforme al modello OCSE non sconteranno le imposte sui redditi italiane, e ciò indipendentemente dal fatto che l'impresa stessa abbia, o meno, operato per il tramite di una stabile organizzazione collocata in territorio italiano. Occorre peraltro precisare che, per quanto della settantina di convenzioni bilaterali stipulate dallItalia la gran maggioranza adotti, conformemente al Modello Ocse, il criterio della "sede di direzione effettiva", alcune se ne discostano, attribuendo il potere impositivo allo Stato in cui limpresa è residente (è il criterio adottato nella convenzione modello USA, seguito nei Trattati stipulati tra Italia e, ad esempio, Australia, Giappone, Turchia e, naturalmente, Stati Uniti); altre ancora (trattasi di convenzioni stipulate dall'Italia con Paesi in via di sviluppo, come Bangladesh o Tanzania), coniugano il criterio del place of effective management con una limitata imposizione alla fonte. Parallelamente alle convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione dei redditi, permangono in vigore, infine, una decina di convenzioni specificamente rivolte ad evitare la doppia imposizione dei redditi realizzati dalle imprese di navigazione marittima e aerea (trattasi di Trattati stipulati dallItalia per lo più con Paesi in via di sviluppo; altre analoghe convenzioni, ad esempio con gli Stati Uniti e con la Svizzera, sono state superate dallentrata in vigore dei trattati contro la doppia imposizione "generici"): in esse si adotta in genere il criterio della residenza (peculiare è il caso dellAccordo con lEtiopia, in cui lesenzione è riconosciuta alle rispettive compagnie di bandiera di Etiopia e Italia). Non è questa l'occasione per procedere ad un'esauriente trattazione delle molteplici problematiche sollevate dalle normative convenzionali; di seguito ci si limiterà, pertanto, ad una rapida disamina di alcuni aspetti particolarmente significativi, con particolare riguardo alla prassi convenzionale italiana. 1.2.1 La nozione di sede di direzione effettiva. L'espressione place of effective management di cui all'art.8 corrisponde a quella utilizzata nella c.d. tie-breaker rule dell'art.4, comma 3, della Convenzione Modello e si riferisce, in buona sostanza, al luogo in cui vengono assunte "le decisioni aziendali fondamentali". La definizione di cosa debba esattamente intendersi per place of effective management (di una società, ai fini dell'art.4, ovvero di un'impresa, ai fini dell'art.8) è peraltro ormai da anni oggetto di studio in sede OCSE. Si vedano, al riguardo le modifiche al Commentario apportate sul punto nel 2000, come pure la bozza di rapporto presentata nel febbraio 2001 e intitolata The Impact of Communications Revolution on the Application of "Place of Effective Management" as a Tie breaker Rule (ove si evidenzia la necessità di definire meglio il criterio, ovvero, in alternativa, di abbandonarlo e sostituirlo con parametri meno labili). 1.2.2 La nozione di esercizio di navi o aeromobili. L'espressione "esercizio di navi o aeromobili" ("operation of ships or aircraft" nel testo inglese) non è definita nella Convenzione Modello (ove invece trovasi, all'art.3, comma 1, lett. d), la definizione di "international traffic"). Tale lacuna dovrebbe, secondo i principi generali, essere colmata mediante richiamo alla normativa interna dello Stato chiamato ad applicare la disposizione convenzionale (cfr. l'art.3, comma 2, della Convenzione Modello). Delimitare il significato dell'espressione "esercizio di navi o aeromobili", è necessario al fine di determinare esattamente quali, tra i proventi di un'impresa di navigazione, possano fruire del regime di esenzione (nello Stato della fonte) ai sensi dell'art.8, e quali, al contrario, ricadano nell'ambito applicativo dell'art.7 (sede di direzione effettiva). Il problema concerne, in particolare, l'individuazione dei proventi derivanti da attività connesse e strumentali all'attività di trasporto, da considerarsi "attratte" al regime impositivo dei proventi derivanti dall'attività principale (cfr. i paragrafi 4 e segg. del Commentario all'art.8, ove si trovano alcune esemplificazioni al riguardo). Nella normativa italiana, tuttavia, non è dato trovare alcuna definizione di "esercizio di navi o aeromobili", né, tantomeno, alcuna indicazione relativa alla nozione di "attività connesse e strumentali" a tale esercizio. Qualche indicazione al riguardo può essere tratta dall'esame della prassi convenzionale italiana: in vari trattati (tra quelli stipulati dall'Italia) sono contenute (per lo più nei relativi protocolli interpretativi) varie statuizioni volte a superare potenziali conflitti tra le parti nell'interpretare il disposto del'art.8, comma 1. Dall'esame di tali statuizioni, emerge che "gli utili derivanti dall'esercizio, in traffico internazionale, di navi e aeromobili" comprendono, in primo luogo, i proventi dalle attività di trasporto di ogni tipo (beni, passeggeri, posta, animali, ecc.; cfr. le definizioni in tal senso fornite nelle convenzioni con India e Australia); a questi vanno assimilati:
Il Commentario OCSE ricomprende nell'ambito applicativo dell'art.8, comma 1, anche i proventi derivanti da altre operazioni accessorie al trasporto come:
La convenzione con l'India specifica inoltre che l'espressione "esercizio di aeromobili" designa l'attività di trasporto aereo di persone, di bestiame, di merci o posta, esercitata da armatori, conduttori o noleggiatori di aeromobili, compresa la vendita di biglietti di passaggio per tale trasporto per conto di altre imprese, la locazione occasionale di aeromobili ed ogni altra attività direttamente connessa con tale trasporto (art.8, comma 3, lett.b). In molte convenzioni (o, meglio, nei relativi protocolli interpretativi) è precisato inoltre che gli utili di cui all'art.8, comma 1, non sono assoggettabili ad imposte locali sui redditi da parte dello Stato della fonte. 1.2.3 Presupposti per lapplicabilità dellart.8. Al fine dellapplicazione dellart.8, comma 1, occorre sussistano i seguenti presupposti, in assenza dei quali ritroverà vigenza la disciplina interna e convenzionale "ordinaria" (quali, ad esempio, le disposizioni di cui allart.7 della Convenzione Modello; nelle esemplificazioni che seguono ipotizzeremo sempre che l'Italia sia lo Stato di produzione del reddito):
A tal proposito, quid iuris se tale impresa è stata costituita in Italia in forma di partnership (si noti che le "società di persone", per l'ordinamento italiano, sono, di norma, soggetti fiscalmente "trasparenti"), i cui partners sono, in tutto o in parte, residenti in Stati terzi? Giova ricordare al riguardo, che lart. 4 del modello convenzionale OCSE individua la "residenza" in relazione "allassoggettamento ad imposta nello Stato, in virtù della sua legislazione". Pertanto, qualora nessuno dei partners sia residente in uno degli Stati contraenti, la convenzione non potrà trovare applicazione, e l'Italia si regolerà secondo quanto dispone la propria normativa interna, assoggettando ad imposta i proventi della partnership residente (fiscalmente attribuibili ai soci non residenti) nella misura in cui essi siano attribuibili ad una stabile organizzazione italiana (laddove cioè la società di persone abbia in territorio italiano quell'insieme di beni e di mezzi richiesto al fine di integrare gli estremi di una stabile organizzazione). Identico trattamento verrà riservato ai medesimi proventi nell'ipotesi in cui tutti i partners dell'impresa (nell'ipotesi avente sia la residenza sia la sede di direzione effettiva in Italia) siano residenti nell'altro Stato contraente (per cui, in assenza di una stabile organizzazione in territorio italiano, ovvero di una subject-to-tax clause nella convenzione, potrebbe verificarsi un'ipotesi di doppia non imposizione). Nei confronti, invece, di eventuali partners residenti in Italia (Stato in cui trovasi la sede di direzione effettiva dell'impresa), troverà regolarmente applicazione la disciplina convenzionale (se, pertanto, i partners sono alcuni residenti e altri no, potranno aversi trattamenti fiscali divergenti). Ipotesi parzialmente differente è, infine, quella della partnership avente la sede legale nell'altro Stato contraente (ove pure è considerata fiscalmente "trasparente"), la "sede di direzione effettiva" in Italia (ove realizza proventi) e partners residenti in uno Stato terzo: anche in questo caso la convenzione tra Italia e Stato di "residenza" della partnership non potrebbe trovare applicazione e l'Italia assoggetterebbe ad imposta i proventi della partnership (fiscalmente attribuibili ai soci non residenti) nella misura in cui essi risultassero attribuibili ad una stabile organizzazione italiana, applicando tuttavia l'Irpeg (in luogo dell'Irpef ordinariamente applicabile ai redditi d'impresa prodotti mediante società di persone residenti), ai sensi dell'art.87, comma 1, lett.d) del tuir; Va da sé che molte di queste complesse problematiche (qui sommariamente sintetizzate) non si manifestano con riferimento alle convenzioni che adottano, con riguardo ai proventi derivanti dall'esercizio di navi e aeromobili in traffico internazionale, il criterio alternativo della residenza (vedi sopra al paragrafo 1.2 del presente capitolo);
2. Altre problematiche connesse all'applicazione della disciplina convenzionale. 2.1 Oneri di dichiarazione. Si ritiene che unimpresa di navigazione non residente, operante in Italia per il tramite di una stabile organizzazione ivi collocata, ma con sede di direzione effettiva in uno Stato con cui lItalia ha stipulato un Trattato contro la doppia imposizione conforme al Modello OCSE, non sia per tale motivo esonerata dallobbligo di tenuta delle scritture contabili e di presentazione della dichiarazione annuale (benché non imponibile in Italia). Si rileva infatti che l'art.13, comma 1, lett.a), del d.p.r. 600 del 1973 prevede l'obbligo di tenuta delle scritture contabili in capo a "tutte le società soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche", mentre l'art.1, comma 1, del medesimo decreto stabilisce l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale per "ogni soggetto passivo", anche qualora non ne consegua alcun debito d'imposta. E, quanto all'attribuzione dello status di "soggetto passivo" alle persone giuridiche non residenti, si tende a far riferimento al combinato disposto degli artt.87, comma 1, lett.d) e 20 del tuir, di modo che gli obblighi di contabilizzazione e di dichiarazione riguarderanno tutti i proventi da considerarsi prodotti in Italia ai sensi della normativa interna (in ragione della sussistenza di una stabile organizzazione sul territorio dello Stato), pur se sottratti all'imposta italiana in virtù della disciplina convenzionale (in questo senso, pur se con argomentazioni non del tutto condivisibili, vedi Cass., sez.I, 1° settembre 1994, n.7609). La posizione assunta sul punto dall'Amministrazione finanziaria italiana è nel senso di una lettura assai rigida delle disposizioni concernenti gli obblighi contabili di società estere con stabile organizzazione in Italia (cfr. circ. min. 30 aprile 1977, n.7/1499; nota 15 luglio 1980, n.9/428; ris. min. 31 gennaio 1981, n.9/25555; ris. min. 1 febbraio 1983, n.9/2398). Con riguardo, in particolare, al settore della navigazione marittima e aerea si è giustificato l'assoggettamento delle imprese non residenti a detti adempimenti, pur in presenza di una disposizione esentativa applicabile, con la necessità di monitorare i proventi realizzati da tali soggetti onde tenere distinti quelli realmente ricadenti nell'ambito applicativo della disposizione esentativa da quelli da assoggettarsi al regime fiscale ordinario (l'esenzione prevista dall'art.8, comma 1, non è infatti soggettiva, bensì riferita a specifiche attività; cfr. ris. min. 21 ottobre 1982, n.12/659 e circ. min. 4 novembre 1982, n.44). 2.2 Non discriminazione. La questione testé esaminata dell'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale in Italia per le imprese di navigazione estere con stabile organizzazione sul territorio dello Stato ha formato oggetto di una pronuncia della Comm. centrale (sentenza n.4318, del 10 settembre 1998). L'amministrazione finanziaria italiana aveva contestato ad una compagnia aerea marocchina (i cui proventi sfuggivano a imposizione in Italia per via delle disposizioni contenute nel Trattato Italia-Marocco) la mancata presentazione della dichiarazione annuale. La Commissione tributaria centrale con detta pronuncia, ha annullato l'accertamento, motivando la propria decisione senza affermare l'assenza dell'obbligo di dichiarazione in mancanza di redditi imponibili, e senza mettere in discussione la sussistenza della stabile organizzazione italiana, bensì applicando l'art.22, comma 1, del Trattato, contenente la clausola di non discriminazione. La disposizione, conforme al disposto dell'art.24, comma 1, della Convenzione Modello OCSE, statuisce che "I nazionali di uno Stato contraente non sono assoggettati nell'altro Stato contraente ad alcuna imposizione od obbligo ad essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione". Attuando una bizzarra applicazione della norma in chiave di "reciprocità", la Commissione. Tributaria. Centrale è giunta a negare l'obbligo di dichiarazione in capo alla compagnia aerea marocchina, in ragione del fatto che un analogo onere non è imposto all'Alitalia in Marocco. Evidentemente il raffronto andava, invece, operato con il trattamento riservato dalla normativa italiana all'Alitalia (in quanto soggetto che si trova in una situazione fiscalmente equivalente a quella della compagnia non residente con stabile organizzazione in Italia), riconoscendosi pertanto il carattere non discriminatorio dell'obbligo amministrativo in questione (anche le società residenti sono, infatti, obbligate dall'art.1 del d.p.r. 600/73 alla presentazione della dichiarazione annuale, anche se da essa non deriva alcun debito d'imposta e anche in mancanza di redditi). Analoghe considerazioni possono porsi in ordine al principio comunitario della libertà di stabilimento (artt.43 e 48 del Trattato); detto principio, infatti, come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia (vedi per tutte la sentenza Saint Gobain), è violato dalle disposizioni interne che, assoggettando le imprese nazionali di altro Stato membro ad un trattamento tributario deteriore (anche solo dal punto di vista degli adempimenti formali) rispetto a quello riservato alle imprese residenti, discriminano le prime a tutto vantaggio delle seconde. Tuttavia, come osservato, non può essere considerata in alcun modo discriminatoria la normativa che imponga analoghi obblighi amministrativi alle società residenti e alle stabili organizzazioni di imprese non residenti (benché la necessità, per l'impresa non residente, di predisporre una contabilità e una dichiarazione dei redditi apposita per la propria stabile organizzazione costituisca, vista la gravosità dell'onere, un indubbio ostacolo all'esercizio della libertà di stabilimento). 2.3 Proventi ricadenti nell'ambito applicativo dell'art.12 della Convenzione. Si è sopra evidenziato come, nella prassi convenzionale italiana (e in conformità con le indicazioni del Commentario e della dottrina tributaria internazionale) siano di norma ricompresi nell'ambito applicativo dell'art.8, comma 1, i proventi derivanti dalla locazione di containers e dall'affitto di navi e aeromobili armate e attrezzate (leasing on a full charter basis). Gli utili ritratti dalla locazione a scafo nudo di navi e aeromobili (leasing on a bareboat charter basis) sono, per contro, attratti alla disciplina dell'art.8 solo nell'ipotesi in cui abbiano un carattere "incidentale ed accessorio" rispetto ai proventi ricavati dall'attività di trasporto internazionale. Nell'ipotesi, invece, in cui l'attività di locazione non presenti detto carattere accessorio, tali utili potranno essere qualificati come royalties in quanto compensi corrisposti "per l'uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali, o scientifiche" (cfr. la definizione di royalties fornita dall'art.12, comma 2, della Convenzione Modello nelle versioni del 1963 e del 1977). La medesima disposizione veniva talvolta ritenuta applicabile anche ai proventi derivanti dalla locazione di containers (si rammenti che l'applicabilità, a tale fattispecie reddituale, della disposizione contenuta nell'art.8, comma1, è espressamente sancita, per quanto riguarda le convenzioni stipulate dall'Italia, solo in 7 Trattati). Nel testo del 1992, il riferimento a siffatte "attrezzature" venne eliminato, proprio allo scopo di escludere "income from leasing of industrial, commercial or scientific equipment, including the leasing of containers, from the definition of royalties and, consequently, to remove it from the application of Article 12 in order to make sure that it would fall under the rules for the taxation of business profits ", come spiega il paragrafo 9 del Commentario all'art.12; tuttavia la quasi totalità delle convenzioni stipulate dall'Italia contengono la "vecchia" definizione di royalties. Non pare in ogni caso corretto far riferimento all'art.12 della Convenzione Modello con riguardo alla locazione di navi e aeromobili per uso privato (ad esempio uno yacht impiegato per fini non aventi carattere industriale, commerciale o scientifico); la nozione di "attrezzatura" ("equipment") deve infatti essere interpretata facendo riferimento al carattere strumentale (per l'utilizzatore) del bene noleggiato. Gli utili derivanti da una siffatta locazione ricadranno pertanto nell'ambito applicativo della disposizione residuale dettata dall'art.21 della Convenzione Modello. Si noti che l'art.12 della Convenzione Modello attribuisce il potere impositivo esclusivamente allo Stato di residenza del percettore (analogamente a quanto fa l'art.21). Tuttavia, nella quasi totalità dei trattati stipulati dall'Italia (salvo alcune sporadiche eccezioni), è previsto una sia pur limitata potestà d'imposizione anche per lo Stato da cui tali royalties provengono. Occorre allora domandarsi se, essendo l'Italia lo Stato da cui si genera detto flusso di pagamenti, il fisco italiano sia legittimato dalla normativa interna a far valere il (limitato) potere impositivo riconosciutogli dalla convenzione (applicando, in sostanza, una ritenuta sulle somme percepite dal lessor residente nell'altro Stato contraente). La risposta a tale quesito è desumibile dal combinato disposto degli artt.81, comma 1, lett.h) e 20, comma 1, lett.f) del tuir: i canoni percepiti dal non residente saranno imponibili in Italia (nella misura concessa dalla convenzione applicabile al caso) solo se derivanti da "beni che si trovano sul territorio dello Stato"; è di tutta evidenza come la disposizione dettata dall'art.20 tuir sia di assai difficile applicazione con riferimento a beni per natura itineranti quali le navi e gli aeromobili. 3. Criteri per la determinazione della base imponibile. 3.1. Disciplina generale Anche con riguardo ai criteri per la determinazione della base imponibile, le imprese di navigazione marittima e aerea sono, attualmente, assoggettate in Italia alla disciplina comune delineata dal Capo VI del Titolo I del tuir. Merita al riguardo di essere ricordata la disposizione di cui allart.73, comma 1, ai sensi del quale le "spese per lavori ciclici di manutenzione e di revisione delle navi e degli aeromobili" (spese periodiche imposte dalla l. 5 giugno 1962, n.616 e dal D.p.r. 14 novembre 1972, n.1154 allo scopo di verificare la permanenza dei requisiti di navigabilità) sono deducibili nella misura del 5 per cento del costo di ciascuna nave o aeromobile quale risulta dal registro dei beni ammortizzabili allinizio dellesercizio. Tale deduzione, ammessa alla condizione che le spese in argomento siano accantonate in un apposito fondo del passivo, trova la sua giustificazione nellesigenza di far partecipare, nel rispetto del principio della competenza economica, alla determinazione del reddito dimpresa di più esercizi oneri che verranno periodicamente sostenuti nellarco di più esercizi. Al termine del ciclo programmato, leventuale differenza tra lammontare complessivamente dedotto e la spesa effettivamente sostenuta per la manutenzione o la revisione della nave o dellaeromobile costituirà, rispettivamente, reddito imponibile se di segno positivo (in sostanza quando laccantonamento sia risultato superiore alla spesa effettivamente sostenuta), ovvero onere deducibile se di segno negativo (nellipotesi opposta). Alcune disposizioni agevolative incidenti sulla determinazione della base imponibile e dellimposta netta per le imprese svolgenti attività di trasporto marittimo internazionale sono dettate, inoltre, dallart.4 del d.l.30 dicembre 1997, n.457 (convertito con modifiche dalla l.27 febbraio 1998, n.30 e ulteriormente modificato e integrato dallart.13 della l.23 dicembre 1999, n.488). Tale norma stabilisce in sintesi che:
Relativamente al settore della navigazione marittima, peraltro, si sono di recente fatte più incisive le richieste degli operatori circa il passaggio ad un sistema di tassazione forfetaria (c.d. tonnage tax), determinata cioè, non dalla differenza tra ricavi e costi, bensì sulla base del tonnellaggio di stazza complessivo delle navi impiegate (si noti che, anche da parte del neo-ministro delle Infrastrutture Lunardi, si è registrata una seppur prudente apertura in tal senso). In ambito europeo la tonnage tax è stata finora adottata da Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Germania e Regno Unito. Se ne discute lintroduzione in Danimarca e Finlandia (si noti che nei Paesi Bassi, due ani dopo lintroduzione della tonnage tax, la flotta iscritta al registro nazionale risultava aumentata del 46%). 3.2. Ripartizione di costi in presenza di stabile organizzazione Una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. sez. trib. 1°agosto 2000, n. 10062 in Giur. Trib. 2001, 1021) si è pronunziato in relazione alla fattispecie di una compagnia di navigazione aerea, la cui casa-madre era residente ad Hong Kong, con stabile organizzazione in Italia. Al fine della determinazione del risultato desercizio, fiscalmente rilevante, erano attribuiti alla stabile organizzazione in Italia, sulla base della formula "marittima o del volato", costi specifici direttamente sostenuti dalla casa madre. LAmministrazione finanziaria, considerato che "la filiale dello scalo di partenza non sostiene tutti i costi del volo perché i passeggeri che hanno stipulato il contratto ricevono assistenza anche in altri scali di passaggio, nella stessa situazione si trovano gli aeromobili ed il personale", ritiene, sì "razionale che alla filiale facciano carico, in proporzione, anche i costi operativi sostenuti dalla filiale italiana", purchè "altrettanta ripartizione avvenga per i costi operativi sostenuti dalla filiale italiana. Questultima, infatti, non si trova sempre nella situazione di scalo di partenza, ma non manca di dare, con la propria organizzazione e con i costi diretti, assistenza ai voli che fanno transito in Italia. Anchessa insomma, sostiene costi che afferiscono a ricavi di altri". Traspare in realtà, la preoccupazione dellAmministrazione che la logica di ripartizione dei costi intra- gruppo possa mascherare un mero "ribaltamento" dei costi in capo alla stabile organizzazione in Italia, ai fini di ottenere un incremento della perdita desercizio, e una conseguente allocazione degli utili in capo alla casa madre residente in un paese a fiscalità privilegiata. In alternativa, (addirittura) potrebbe verificarsi una vera e propria duplicazione di costi, che risulterebbero dedotti direttamente in capo ai singoli soggetti non residenti in Italia, e indirettamente ripartiti e quindi nuovamente dedotti anche nei confronti del soggetto residente in Italia. La Corte di cassazione respinge tale argomentazione, osservando che non è irragionevole per un gruppo multinazionale, mantenere presenze economiche in altre Nazioni "anche quando dalle stesse non conseguano ricavi in tempi brevi"; in ogni caso, non sussistono ragioni di carattere logico sistematico che "impongono l adozione del criterio indicato dall Amministrazione, anziché quello seguito dall impresa". Peraltro, tale ultimo criterio non si discosta, a detta della Suprema Corte, dalle norme nazionali: ben può essere riconosciuta la deducibilità non solo di tali costi operativi direttamente, sostenuti dalla stabile organizzazione italiana, ma anche dei costi indirettamente sostenuti, anche se in parte riferibili ai ricavi conseguiti da altre filiali o società non residenti, dal momento che "l inerenza dei costi e degli oneri in materia di reddito d impresa deve essere riferita, non ai ricavi, ma all attività dell impresa". 4. Possibili interrelazioni con le normative antielusive. Nel campo della navigazione marittima e aerea internazionale, non è raro che lattività venga svolta da gruppi societari aventi proprie ramificazioni (in forma di subsidiaries) in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato (ciò, spesso, non esclusivamente per ragioni fiscali, bensì per approfittare, ad esempio, dei minori vincoli circa lesercizio dellattività posti dalle normative locali). In siffatte fattispecie sarà, pertanto, opportuno tenere debita considerazione delle varie disposizioni antielusive che regolamentano i rapporti commerciali tra imprese residenti in Italia e imprese domiciliate fiscalmente nei cc.dd. tax havens. Particolarmente significative, al riguardo, sono le norme in tema di transfer pricing (art.76, comma 5, tuir) e di disconoscimento delle componenti negative derivanti da transazioni con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato (art.76, comma 7-bis, tuir), nonché la nuova disciplina sulle controlled foreign companies (CFC). Comè noto, la l.21 novembre 2000, n.342 ha, dopo lunga gestazione, introdotto nel nostro ordinamento una disposizione generale contenente il principio per cui, se non ricorrono determinate circostanze esimenti, i proventi realizzati da una società controllata residente in un "paradiso fiscale" vanno automaticamente imputati alla controllante italiana, a prescindere dalla loro effettiva distribuzione (si tratta dellart.127-bis del tuir). Tale disposizione (invero poco amata anche dal legislatore che lha dettata) è stata introdotta a seguito delle pressioni manifestate in tal senso da parte della Commissione Europea e dallOCSE (il cui orientamento, in tema di "lotta" ai paradisi fiscali", ha subito peraltro una notevole rivisitazione, in seguito al mutato scenario politico mondiale). La sua applicazione è tuttavia rinviata, sino a che non sarà emanata unapposita lista degli Stati o territori da considerarsi, ai fini di tale disciplina, "aventi regime fiscale privilegiato" (e i tempi per lemanazione del decreto ministeriale che dovrà contenere detta elencazione paiono allungarsi); non è infatti possibile far ricorso, a tale scopo, alla "black list" contenuta nel d.m. 24 aprile 1992, emanato a supporto del citato art.76, comma 7-bis, del tuir. Se e quando la normativa sulle CFC diverrà in concreto diritto vivente, si porrà, tra laltro, il problema di stabilire se unimpresa di navigazione, costituita in uno Stato appartenente alla suddetta "black list" ed operante con le sue navi e i suoi aeromobili in varie aeree del globo, potrà beneficiare della c.d. "circostanza esimente" delineata dal comma 5 dellart.127-bis. Tale disposizione, infatti, prevede che limputazione automatica dei proventi realizzati dalla controllata estera non operi qualora il soggetto residente riesca a dimostrare (tramite una procedura di interpello obbligatorio) che quella svolge "uneffettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede". Affinché si renda applicabile siffatta esimente, pertanto, non sarà presumibilmente sufficiente la circostanza che le navi e gli aeromobili siano immatricolati nei pubblici registri dello Stato in cui è domiciliata fiscalmente la subsisiary, dovendo essa necessariamente svolgere in tale Stato unattività di apprezzabile rilevanza. Stante lattuale formulazione della norma, daltra parte, non pare costituire ostacolo alloperatività del citato comma 5 il fatto che detta attività si sostanzi, ad esempio, nel coordinamento (o altri servizi ausiliari) di attività di trasporto svolte fisicamente in altre aeree territoriali e nei confronti di committenti non residenti; maggiori problemi avrebbero potuto manifestarsi, in proposito, ove fosse stata mantenuta loriginario riferimento al "mercato locale" (introdotto nella prima versione della norma sulla scia della normativa CFC francese), il quale permane peraltro nellomologa "esimente" contenuta nellart.76, comma 7-ter, tuir (di talché, paradossalmente, qualora la subsidiary collocata in un paradiso fiscale abbia rapporti commerciali con la capogruppo residente in Italia, la dimostrazione che la controllata estera svolge unattività economica effettiva potrebbe, da un lato, impedire lapplicabilità della disciplina CFC, senza essere, dallaltro, di per sé sufficiente per consentire la deducibilità dei costi eventualmente sostenuti dalla controllante italiana). 5. Cenni sulle problematiche relative allapplicazione dellIrap. 5.1 Normativa interna. LImposta regionale sulle attività produttive (IRAP) è, comè noto, delineata dal D.lgs. 15 dicembre 1997, n.446 quale imposta avente i caratteri della "realità", in quanto prende in esame non il soggetto dimposta ma le tipologie di attività esercitate dallo stesso, e della "territorialità", in quanto grava sul valore della produzione netta derivante dallattività esercitata nel territorio regionale. Ai fini dellapplicazione dellimposta ai non residenti, lart.12, secondo comma, del d.lgs.446 dispone che, nei confronti di tali contribuenti, "si considera prodotto nel territorio della regione il valore derivante dallesercizio di attività commerciali, di arti o di professioni o da attività non commerciali esercitate nel territorio stesso per un periodo non inferiore a tre mesi mediante stabile organizzazione, base fissa o ufficio, ovvero derivante da imprese agricole esercitate nel territorio stesso". Dopo alcune iniziali incertezze manifestate dallAmministrazione Finanziaria (cfr. circ. min. 4 giugno 1998, n.141/E), è stato correttamente chiarito che i citati elementi della "stabile organizzazione", della "base fissa" e dell"ufficio" si riferiscono, rispettivamente, alle imprese commerciali, agli esercenti arti o professioni e allesercizio di attività non commerciali (per cui unimpresa commerciale non residente sarà assoggettabile ad irap solo per il valore della produzione netta realizzato in una o più regioni italiane per il tramite di una o più stabili organizzazioni; cfr. la ris. min. 16 luglio 1998, n.188/E). Si noti che, nella disciplina dellirap, lelemento della "stabile organizzazione" non ha tanto la funzione di stabilire se un soggetto non residente sia assoggettabile a imposta in Italia (come avviene nelle imposte sui redditi), quanto quella di determinare quale ammontare di valore della produzione netta possa essere attribuito a costui in una data Regione. Il chiaro disposto del citato art.12, comma 2, se da un lato evita linsorgere di problematiche relative alla c.d. "forza dattrazione della stabile organizzazione" (quali si registrano in materia di imposte sul reddito),(cfr. Lovisolo A. La "Stabile organizzazione" cit.) dallaltro porta a non condividere quanto affermato dallAmministrazione Finanziaria secondo la quale "agli effetti delleventuale ripartizione fra le diverse regioni del valore della produzione realizzato dal soggetto passivo (sia residente che non residente) nel territorio dello Stato, assumono rilievo, in via di principio, tutti gli insediamenti stabili (magazzini per deposito merci, uffici acquisti, sedi di rappresentanza, ecc.)" (circ. min. 12 novembre 1998, n.263/E; seguendo tale chiave interpretativa, pertanto, se una società non residente disponesse di una stabile organizzazione in Lombardia e di un magazzino per deposito merci in Puglia, il valore della produzione netta andrebbe ripartito tra tali Regioni). Giova, infatti, ricordare che, al fine della definizione del concetto di "stabile organizzazione", il semplice deposito merci o la sede di rappresentanza, integra unipotesi di "attività meramente preparatoria ed ausiliaria", non idonea a configurare unorganizzazione stabile (cfr. Lovisolo A. La "Stabile organizzazione cit."). Conclusione tanto più fondata, se si considera che, quanto alla nozione di "stabile organizzazione", il Ministero (ris. min. 188/E del 16 luglio 1998) ha chiarito che anche ai fini irap l'espressione deve essere interpretata secondo il significato attribuitole nel Modello OCSE. Relativamente ai soggetti passivi residenti che esercitano attività produttive anche all'estero, la quota di valore a queste attribuibile, da scomputarsi dalla base imponibile, è determinata sulla base dei criteri parametrici indicati dall'art.4, comma 2 (mentre, come accennato, il valore della produzione che si considera realizzato in Italia da un non residente viene determinato secondo criteri analitici, regione per regione). Detta regola, tuttavia, non opera con riguardo ai "soggetti passivi" che esercitano attività produttive mediante l'utilizzo di navi iscritte nel registro internazionale di cui all'art.1, comma 1, del DL 30 dicembre 1997, n.457. Per tali soggetti l'art.12, comma 3, del d.lgs.446 (modificato in tal senso dall'art.8 del d.lgs. 10 aprile 1998, n.137) dispone infatti l'esclusione dalla base imponibile irap del valore della produzione espressamente riferibile all'esercizio di dette navi (l'iscrizione delle quali nel registro internazionale comporta, in sostanza, l'insorgere di una presunzione iuris et de iure di svolgimento dell'attività all'estero). Il Ministero ha al riguardo precisato che i costi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all'esercizio di detta attività e di altre attività eventualmente esercitate da tali imprese sono imputabili all'attività esercitata mediante l'utilizzo di navi iscritte nel registro internazionale per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e proventi rilevanti ai fini irap specificamente riferibili alla suddetta attività e l'ammontare complessivo di tutti i componenti positivi rilevanti ai fini irap (circ. min. 263/E del 1998). 5.2 Disciplina convenzionale. Com'è noto, nell'art.3, comma 144, lett.s) della legge delega n.662 del 1996 (contenente i criteri e i principi direttivi per l'istituzione dell'irap), il legislatore italiano ha sancito l'equiparazione, ai fini dell'applicazione dei trattati bilaterali contro la doppia imposizione, dell'imposta regionale sulle attività produttive ai tributi erariali aboliti (Ilor e imposta sul patrimonio netto). Nonostante tale presa di posizione unilaterale, peraltro, perplessità circa detta equiparazione sono state manifestate da parte degli Stati contraenti le convenzioni contro la doppia imposizione con l'Italia (gli Stati Uniti, in particolare, hanno preteso l'immediata rinegoziazione della convenzione tra essi e l'Italia). Per quanto qui interessa, va sottolineato che tale equiparazione comporta, per le imprese di navigazione marittima o aerea residenti in Stati firmatari di convenzioni contro la doppia imposizione con l'Italia (e non aventi ivi la propria "sede di direzione effettiva"), l'applicazione, anche ai fini irap, del medesimo regime di non imponibilità (in Italia) dei proventi realizzati nell'esercizio, in traffico internazionale, di navi ed aeromobili (e ciò a prescindere dalla sussistenza o meno di una stabile organizzazione sul territorio nazionale). PARTE TERZA LA TASSAZIONE INDIRETTA DELLE IMPRESE DI TRASPORTO AEREO E MARITTIMO
La principale forma dimposizione indiretta prevista dallordinamento italiano è, senza dubbio, costituita dallimposta sul valore aggiunto, disciplinata nellordinamento italiano dal D.p.r. 26 ottobre 1972, n.633, sulla base delle disposizioni contenute nelle direttive comunitarie (e, segnatamente, nella Direttiva 17 maggio 1977, n.77/388, c.d. sesta direttiva Iva). Trattasi, comè noto, di tributo che colpisce le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (c.d. "presupposto oggettivo", definito dagli artt.2 e 3 del D.p.r. 633) effettuate nel territorio dello Stato ("presupposto territoriale", definito dallart.7 del D.p.r. 633) nellesercizio di imprese o nellesercizio di arti e professioni ("presupposto soggettivo", definito dagli artt.4 e 5 del D.p.r. 633), nonché le importazioni da chiunque effettuate. Alla ricorrenza di tali presupposti, pertanto, il cedente/prestatore deve addebitare al cliente il tributo proporzionale al corrispettivo contrattuale (c.d. meccanismo della "rivalsa"), e a sua volta deve versarlo allerario, al netto del tributo da lui stesso corrisposto ai propri fornitori (c.d. principio della "detrazione". È così che lIva giunge a colpire il consumo finale, mostrandosi invece neutrale nei "passaggi intermedi" di beni e servizi tra produttori, commercianti e professionisti. Accanto alle operazioni mancanti del requisito della territorialità (le quali, pertanto, non si considerano prodotte in Italia), sono detassate, in quanto classificate come "operazioni non imponibili", le esportazioni (le quali danno tuttavia diritto alla detrazione dellIva assolta sugli acquisti e impongono, daltra parte, lassolvimento degli oneri amministrativi). Gli operatori non residenti che acquistino beni e servizi in Italia possono ottenere il rimborso dellimposta assolta su tali acquisti mediante la procedura individuata dallart.38-ter del D.p.r. 633, ovvero per il tramite di un rappresentante fiscale nominato ai sensi dellart.53, comma 3 del D.p.r. 633 (disposizione richiamata dallart.17, comma 2 del medesimo decreto). Qualora, peraltro, il soggetto non residente operi in Italia per il tramite di una stabile organizzazione ivi identificata, limposta assolta sugli acquisti andrà portata in detrazione dallimposta relativa alle operazioni attive poste in essere per il tramite della stabile organizzazione (ed il rimborso delleventuale eccedenza a credito dovrà essere richiesto da questa secondo le ordinarie procedure stabilite per gli operatori residenti dallart.38-bis). Si noti, infine, che la dottrina maggioritaria reputa obbligatoria la nomina del rappresentante fiscale in tutte le ipotesi in cui un operatore estero (ovviamente mancante di stabile organizzazione in Italia) ponga in essere in Italia operazioni attive che non possono materialmente essere assoggettate allimposta se non tramite lintervento di un siffatto intermediario (è il caso, in particolare, delloperazione posta in essere nei confronti di un cliente consumatore finale, come tale impossibilitato ad mettere in atto la procedura del reverse charge). Nellambito delle prestazioni di trasporto è opportuno, ai fini Iva, distinguere tra le seguenti differenti ipotesi:
Le prestazioni di trasporto si considerano effettuate nel territorio dello Stato in proporzione alla distanza ivi percorsa (art.7, comma 4, lett. c) del D.p.r. 633). Pertanto, il corrispettivo relativo ad un trasporto eseguito in parte nel territorio italiano ed in parte allestero, rientra nel campo di applicazione dellimposta limitatamente alla parte eseguita in Italia. Tale criterio non vale, tuttavia, per i trasporti intracomunitari, per i quali, come si vedrà, rileva la soggettività del destinatario e, in subordine, il luogo di partenza. Al fine di ovviare alle difficoltà di determinare esattamente lentità del trasporto eseguito nello Spazio aereo o marittimo italiano, il Ministero ha previsto lapplicabilità delle seguenti percentuali forfetarie:
Relativamente alla quota per la quale si considerano effettuate in Italia, inoltre, le prestazioni di trasporto internazionale sono non imponibili (art.9, comma 1, nn.1 e 2); ne consegue che nei limiti di tale quota dette prestazioni faranno sorgere gli obblighi amministrativi propri delle operazioni non imponibili (fatturazione e registrazione), mentre, con riguardo alla quota restante, esse non daranno luogo ad alcun onere (né, daltra parte, a plafond). Il medesimo regime di non imponibilità è previsto anche per le prestazioni collegate ai trasporti internazionali.
I trasporti di persone (per terra, per mare o per aria), da o verso lItalia, costituiscono servizi internazionali quando sono effettuati in parte nel territorio dello Stato e in parte in territorio estero in dipendenza di un unico contratto (art.9, comma 1, n.1 del D.p.r. 633). Il trasporto si considera effettuato in dipendenza di un unico contratto anche quando effettuato da più vettori, qualora si verifichi lipotesi del trasporto cumulativo previsto dallart.1700 c.c. (ris. min. 4 ottobre 1974, n.525300). Tuttavia, se, in esecuzione di un unico contratto di trasporto, il vettore incaricato pone in essere altri rapporti contrattuale (con subvettori) relativi a tratte nazionali, detti rapporti sono soggetti ad Iva (circ. min. 3 agosto 1979, n.26/411138). Le cc.dd. "crociere circolari", infine, che iniziano da un porto o aeroporto nazionale e terminano, dopo aver toccato uno o più porti o aeroporti esteri, nello stesso o in altro porto o aeroporto nazionale, sono da considerarsi trasporti internazionali (circ. min. 3 novembre 1973, n.62/539917). Sono non imponibili i trasporti relativi a beni provenienti da Paesi extra UE o destinati ad essere introdotti nei detti Paesi. In particolare, si tratta dei trasporti riguardanti beni in esportazione, in transito e in importazione, temporanea e definitiva (art.9, coma 1, n.2 del D.p.r. 633). In questultimo caso, peraltro, il trasporto relativo alla tratta nazionale è non imponibile Iva solo quando i corrispettivi dei beni, comprensivi del costo complessivo del trasporto, siano stati assoggettati allimposta allatto dello sdoganamento. Qualora, invece, i beni siano stati dichiarati in dogana "franco confine", il trasporto per la tratta nazionale deve essere regolarmente assoggettato ad Iva.
Lart.9, comma 1, del D.p.r. 633 assoggetta al regime della non imponibilità altre tipologie di servizi connessi allattività di trasporto internazionale; tra queste, in particolare:
Per "trasporto intracomunitario" si intende il trasporto di beni, effettuato con qualunque mezzo, con luogo di partenza e di arrivo situati in due differenti Stati membri, nonché le prestazioni di "vettoriamento", rese tramite condutture o elettrodotti, di prodotti energetici diretti in altri Stati membri o da questi provenienti (art.40, comma 7, del DL 331/93). Il trasporto si considera intracomunitario anche nellipotesi in cui, prima dellarrivo nellaltro Paese membro di destinazione, vengano eseguite singole tratte nazionali in esecuzione di contratti derivati che il vettore principale stipula con dei sub-vettori. Il trasporto si considera effettuato nel territorio dello Stato e, quindi, ivi imponibile, se si verifica una delle seguenti condizioni:
Pertanto, non sono imponibili (in Italia) i trasporti iniziati in Italia, ma commessi da un soggetto passivo Iva in un altro Stato membro (loperazione sarà infatti assoggettata ad imposta nello Stato membro di residenza del committente). Le prestazioni di trasporto intracomunitario rese nei confronti di un committente estero e non effettuate nel territorio dello Stato costituiscono operazioni intracomunitarie "non soggette". Per esse sussiste lobbligo di fatturazione, annotazione e dichiarazione. Inoltre, le stesse danno diritto alla detrazione o al rimborso dellIva assolta sugli acquisti dal prestatore di servizio.
In questa categoria sono ricomprese tanto le operazioni di carico e scarico delle merci, quanto quelle di manutenzione, quando effettuate nellambito del territorio UE. Tali prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato e, quindi, imponibili, nelle seguenti ipotesi:
Qualora, invece, dette prestazioni siano materialmente eseguite in Italia, ma il committente è un soggetto passivo Iva in un altro Stato membro, limposta sarà dovuta in questultimo Stato (in deroga a quanto sancito dallart.7, comma 4, letti b). Nellipotesi, infine, in cui le predette operazioni accessorie sono effettuate in porti, aeroporti, ecc., alle medesima permane applicabile il regime di non imponibilità di cui allart.9, comma 1, n.6.
Lart.7, comma 2, del D.p.r. 633 stabilisce che si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni di beni nei confronti dei passeggeri nel corso di un trasporto intracomunitario (per tale intendendosi quello con luogo di partenza e di arrivo siti in Stati membri diversi) a mezzo di navi, aeromobili o treni, qualora il trasporto abbia avuto inizio nel territorio dello Stato. Peraltro, ai sensi dellart.52 del DL 331/93, sino al 30 giugno 1999 godevano di un regime di non imponibilità Iva (nonché di esenzione dalle accise) le cessioni di beni a bordo di navi ed aeromobili (nonché nei duty free shops istituiti in porti e aeroporti) nei confronti di viaggiatori diretti in altro Stato membro. Le condizioni e i limiti per lapplicazione di tale beneficio erano stati dettati dal DM 31 dicembre 1992 (e da successivi analoghi DM). Dal 1° luglio 1999, lagevolazione in esame è venuta meno, con il conseguente assoggettamento ad Iva (e alle accise) di tali operazioni (cfr. la Nota Min. Fin. Dip. Dog. Dir. Centr. Servizi doganali 28-06-1999, n. 2528/V/DCSD e la Circ. Min. Fin. Dip. Dog. Dir. Centr. Produzione 05-04-2000, n. 67/D/259, contenti le indicazioni del Ministero circa il funzionamento dei duty free shop a seguito dellentrata i vigore del nuovo regime). Lart.8-bis del D.p.r. 633 assimila alle cessioni allesportazione, assoggettandole pertanto al regime della "non imponibilità", alcune operazioni del settore navale e aeronavale, le quali tipicamente incidono su un mercato transnazionale ed in un ambito che non può essere localizzato nel territorio dello Stato. La disposizione elenca le seguenti operazioni:
Si noti che, ai sensi dellart.68, lett. a), del D.p.r. 633 non sono soggette ad imposta le importazioni, nonché (dal 1° gennaio 1993, giusta lart.42, comma 1, del DL 331/93) gli acquisti intracomunitari di navi, sempre che ricorrano le condizioni sopra esposte.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Aragno T., "Brevi note in tema di rappresentante fiscale e stabile organizzazione di società estera di navigazione", in DPT, 1999, II, 87. Carbone S.M., "Diritto Marittimo", Torino, 1997. Ceriana, "Obblighi della società con una stabile organizzazione in Italia", in DPT, 1995, II, 791 (nota a Cass., sez. I, 1° settembre 1994, n. 7609). Lovisolo A. La "Stabile organizzazione"in AA. VV, Corso di diritto tributario internazionale Padova 1999, 233 Lovisolo A., "Raccomandatario marittimo e stabile organizzazione", in DPT, 1977, II, 699. Maisto G., "The History of Article of the OECD Model Treaty on Shipping and Air Transport", in AA.VV., Staaten un Steuern, 1017. Maisto G., "The shipping and air transport provision (Art. 8) in the Italy USA doble taxation agreement", in AA. VV., Essays on International Taxation, 287. Piazza M., "Dichiarazione dei redditi delle imprese di navigazione marittima e aerea esentate da imposizione in Italia per effetto di convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sul reddito", in Riv. dir. trib., 1999, IV, 128 (nota a Comm. centr., sez. XVIII, n. 4318/1998). Picciaredda F., "In margine alle convenzioni in tema di doppia imposizione sul reddito: il trasporto aereo internazionale", in Diritto dei trasporti, 2000, 345 (larticolo è pubblicato, in inglese, anche su Riv. Dir. Trib. Int. le, 2000). Ricci S. Scialbà P., "Profili fiscali dellimpresa armatoriale, in fisco Rassegna di fiscalità internazionale", 2001, 286, articolo che tuttavia non ho letto nel prepararle la mia bozza (è stato pubblicato dopo che le consegnassi la bozza stessa). Vogel K.,Double Taxation Conventions, Deventer, 1997, 482-509. |