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Relazione al Convegno ILADT

di Vito Tanzi

 

Autorità, prof. Uckmar, Signore e Signori,

Sono felicissimo di essere qui e di partecipare alle XXI Jornadas Latino-Americanas de Derecho Tributario. Vorrei prima di tutto ringraziare il Prof. Uckmar per il gentile invito. Lo conosco da tanti anni e mi fa sempre piacere rivederlo e partecipare con lui a vari convegni, questa volta a Genova ma, spesso in altre parti del mondo.

Vorrei cominciare col dire che partecipo a carattere personale e non a carattere ufficiale ed aggiungere che sono un economista e non un giurista.

Pertanto mi scuso della mia ignoranza su alcuni argomenti di diritto tributario che verranno discussi in questo convegno. Come saprete gli economisti vivono un po’ sulle nuvole, mentre i giuristi hanno più spesso i piedi a terra.

Il tema di questo convegno è per me di grande interesse, in quanto è un argomento del quale mi sono interessato, di tanto in tanto, per quasi 40 anni. Molti anni fa ho lavorato a Washington con il dott. Gonzales Cano che è qui presente. Eravamo molto giovani allora.

 

Il tema “medidas fiscales para el desarollo economico” è molto interessante, ma mi ha sempre creato una sorta di difficoltà, poiché, generalmente, mi è facile pensare a “medidas fiscale” che impediscono la crescita dell’economia (el desarollo economico) ma, più difficile, a misure fiscali che ne promuovono la crescita. Le imposte generalmente riducono il risparmio e la propensione ad investire ed a lavorare di più. Allo stesso tempo lo sviluppo economico ha bisogno di un ruolo fondamentale dello Stato che spesso richiede spesa pubblica e quindi imposte per coprirla.

Di tanto in tanto i Governi non usano il gettito impositivo per coprire le loro spese ma ottengono dei prestiti dal resto del mondo con, a volte, le drammatiche conseguenze determinatesi in Argentina e in altri paesi che attraversano crisi finanziarie. In altri casi i prestiti sono ottenuti tramite le loro Banche Centrali con conseguenze inflazionistiche, oppure i Governi spingono i cittadini a prestare dei servizi allo Stato senza essere remunerati.

E’, per esempio, il caso della leva obbligatoria. Queste alternative alle imposte hanno caratteristiche che gli economisti chiamano “second best”.

Non sono mai la scelta ottima.

Vorrei raccontare un aneddoto sull’arrivo di Cristoforo Colombo, un genovese, in America Latina. Si narra che, appena sceso dalla nave, Colombo fosse stato circondato da giornalisti latino-americani che volevano una dichiarazione per la stampa. Colombo aveva difficoltà a rispondere e non sapendo cosa dire dichiarò che non aveva idea di dove si trovasse, non sapeva come fosse arrivato fin lì, e non sapeva come tornare in Spagna.

L’unica certezza era quella che i contribuenti spagnoli avevano finanziato la sua impresa!

Le imprese dei governi sono prima o poi finanziate dalle imposte così che le relative spese devono essere contenute ed efficienti in modo che anche la pressione fiscale rimanga contenuta.

Un paio di anni fa scrissi il mio ultimo articolo sul tema della relazione fra sistema impositivo e sviluppo economico. L’articolo fu pubblicato sul National Tax Journal e una versione meno tecnica fu pubblicata dal Fondo Monetario Internazionale. In questo articolo si fa il punto, ovvio (ma qualche volta i punti ovvi sono i primi ad essere dimenticati), che il sistema tributario è solo uno fra i tanti fattori che determinano la crescita economica di un Paese. Per noi esperti di imposte non è facile accettare questa conclusione. La verità è che è stato sempre difficile trovare una robusta relazione statistica o econometrica fra i sistemi tributari o la pressione fiscale e lo sviluppo economico. Molti economisti hanno provato a legare statisticamente sistemi fiscali o pressione fiscale a crescita economica, ma senza molto successo. Questo non vuol dire che i sistemi fiscali non sono importanti per l’economia ma ci sono tanti altri fattori che spesso nascondono l’effetto delle imposte.

I paesi ricchi hanno una pressione fiscale più alta e sistemi fiscali diversi da quelli dei Paesi poveri, ma hanno più capacità di tassare e di spendere meglio il gettito tributario. La pressione fiscale dei Paesi ricchi è quasi il doppio, in media, di quella dei Paesi poveri: circa il 38% del PIL per i primi contro il 18% del PIL per i poveri. La struttura fiscale dei Paesi ricchi dà molto più importanza all’imposta sul reddito che quella dei paesi poveri.

Uno dei punti principali dell’articolo menzionato è che la struttura economica dei Paesi in via di sviluppo non facilita l’introduzione delle imposte sui redditi e, specialmente, quelle sulle persone fisiche. C’è troppa economia informale nei paesi poveri e, come è noto, è molto difficile tassare l’economia informale con imposte sui redditi. Inevitabilmente, la struttura fiscale dei Paesi in via di sviluppo è molto influenzata dalla struttura economica di quei paesi che li costringono ad usare imposte meno efficienti.

Le amministrazioni tributarie dei paesi in via di sviluppo non hanno ancora sufficienti dipendenti con preparazione adeguata e spesso l’indipendenza politica, che è necessaria per una buona amministrazione fiscale, è assente.

Infatti, in alcuni di questi Paesi, ci sono pressioni politiche sulle amministrazioni fiscali. Non è insolito per un direttore d’imposta ricevere una telefonata, da qualche importante personalità politica, per istruzioni o “suggerimenti” su comportamenti da adottare nei riguardi di alcuni contribuenti. Anche il sistema di giustizia non aiuta le attività degli amministratori fiscali, poiché non si presta a facilitare un sistema efficiente ed equo. Evasori fiscali possono trovare giudici che li aiutano a non soffrire le conseguenze delle loro azioni. In alcuni paesi c’è anche il problema del nepotismo che danneggia le amministrazioni. Un recente articolo del “The Economist” denuncia che in un Paese dell’America Latina, dove 12 anni fa si cercò di eliminare qualsiasi forma di nepotismo, oggi il 68% delle persone che lavorano nell’amministrazione fiscale sono parenti.

 

L’informazione statistica è spesso insufficiente per cui è difficile stimare cosa succede se alcune aliquote cambiano o se vengono fatte modifiche alle leggi fiscali.

Vorrei fare qualche commento sulla relazione tra spesa pubblica e livello della pressione fiscale. Naturalmente la spesa pubblica di un Paese dovrebbe determinare la pressione fiscale: più un Paese intende spendere e più gettito fiscale dovrebbe ottenere.

E’ un errore discutere la pressione fiscale separatamente dalla spesa pubblica come spesso avviene. Qualche volta si fanno grandi dissertazioni sulla riduzione delle imposte senza mai menzionare la spesa pubblica e a parte quest’ultima, bisogna anche riconoscere il ruolo delle “spese fiscali” ed il fatto che queste “spese” sono spesso un’alternativa alla citata spesa. Per esempio quando Clinton diventò presidente degli Stati Uniti e si trovò di fronte un Congresso che non gli permise di aumentare la spesa pubblica come lui avrebbe voluto, cominciò ad usare la “spesa fiscale” che, durante la sua presidenza aumentò moltissimo, a differenza di quella pubblica che restò contenuta.

Tutti i sistemi fiscali devono affrontare il conflitto tra equità ed efficienza, specialmente quando si cerca di ottenere più equità attraverso imposte progressive sui redditi delle persone fisiche. Quando un paese ha imposte molto progressive si desume che il sistema fiscale sia meno efficiente a causa dei disincentivi creati dalle altre aliquote. Occorre, però, riconoscere che la progressività nominale o statutoria è spesso diversa da quella effettiva. Paesi con grande progressività nominale o statutoria spesso introducono alcune vie che permettono ai contribuenti di limitare la progressività effettiva. In questi casi la progressività può creare distorsioni senza creare equità.

In Italia si sono avuti vari motivi di discussione legati, in un caso, almeno per i redditi bassi, all’applicazione dell’imposta sul reddito e cioè se calcolarla sul reddito contabile o sul reddito normale, o medio, e nell’altro se i redditi derivanti da fonti diverse dovessero essere tassati allo stesso modo. Per molti anni ha avuto influenza il pensiero anglosassone di tassare il reddito globale di una persona con aliquote progressive. Oggi alcuni esperti pensano che forse sia il caso di tornare ai sistemi del passato, che applicavano imposte schedulari. La “dual income tax” riflette questo nuovo pensiero.

 

Si discute anche sulle imposte di consumo; devono essere generali o i consumi specifici si possono ancora tassare differentemente? In passato si tassavano i beni di lusso – gioielli, macchine fotografiche, televisori etc. – con alte aliquote. Ora questo sistema è un po’ in disuso.

 

Nei paesi in via di sviluppo le imposte sulle imprese sono più importanti che nei paesi industrializzati, mentre le imposte sulle persone fisiche lo sono molto meno. La ragione è che è più facile tassare le grandi imprese che le persone; ed i paesi in via di sviluppo spesso hanno diverse grandi imprese.

 

Qualche commento sugli incentivi fiscali. Si evidenzia il poco successo che detti incentivi hanno nello stimolare l’economia dei paesi in via di sviluppo e creano grosse difficoltà per il sistema fiscale, poiché lo rendono più complesso e producono distorsioni ed abusi. Ci sono varie forme di incentivi. Gli ammortamenti accelerati sono probabilmente la migliore forma; ma occorre ricordare che un sistema fiscale semplice, stabile, trasparente e con aliquote moderate è il miglior incentivo fiscale che un governo possa dare all’economia.

 

Qualche osservazione sui Paesi industrializzati. Tali Paesi sono molto interessati alla riduzione delle imposte, e, mentre, da una parte si osserva che le imposte sono troppo alte, dall’altra si nota la difficoltà nel ridurre la spesa pubblica. Spesso i cittadini desiderano meno imposte ma non meno spesa pubblica.

Si discute anche se l’imposta sul reddito globale, la “global income tax”, rimane ancora l’imposta preferita come lo era chiaramente alcuni anni fa.

La globalizzazione è una sfida diretta a questo tipo di imposta. E’ difficile per un Paese tassare il reddito globale di una persona in un contesto di globalizzazione specialmente quando quel reddito contiene guadagni fuori dal paese di residenza. Per i redditi finanziari le aliquote marginali, applicate da un sistema che tassa i redditi globali di una persona, tendono ad essere molto alte ed a spingere l’emigrazione di questi redditi.

Pertanto in molti paesi si è sviluppa la tendenza a ridurre le imposte progressive; ciò ha determinato, negli ultimi vent’anni, la riduzione delle aliquote marginali nella gran parte dei paesi. Molti contribuenti usano i paradisi fiscali per evadere le imposte e grande è la preoccupazione su come ridurre questo fenomeno. E’ in discussione, soprattutto qui in Europa, la possibilità di usare scambi di informazioni tra le amministrazioni tributarie o introdurre sistemi di tassazione alla fonte, per ridurre l’evasione fiscale sui redditi finanziari.

 

Che sistemi fiscali avremo tra 20/30 anni? Quale sarà il livello della pressione fiscale? Quale sarà la struttura di questi sistemi? Vedremo l’apparizione di nuove imposte? Imposte che, ora non esistono? E’ probabile che avremo nuove imposte create dalla rivoluzione nelle comunicazioni e dalla globalizzazione.

Il mondo continuerà verso la globalizzazione o farà un passo indietro? Forse avremo la risposta nel 2022, quando il prof. Uckmar organizzerà un nuovo convegno dell’ILADT a Genova a cui spero che noi tutti, anche se saremo meno giovani, parteciperemo. E sicuramente Genova sarà allora ancora più bella.